DONNE E MATERNITA' : DOVE VA A FINIRE QUELL'AMORE

Nella costruzione dell’immagine di un figlio, più le donne che gli uomini, predispongono  progetti della vita futura: desideri, immagini su come saranno questo figlio e l’organizzazione familiare che gli si plasmerà intorno, fantasie su come crescerà, su quale sport praticherà e su chi diventerà.
Il ruolo di fantasie, immagini, desideri ed esperienze è importantissimo nella mentalizzazione della propria genitorialità. Crea un circuito di pensieri, fantasie, emozioni e aspettative che sostiene il nostro “essere pronti” all’arrivo del figlio nella nostra vita.
Insieme agli altri elementi del circuito, cresce anche l’amore per quel figlio che ancora non c’è ma che richiama tutta la nostra energia e la nostra forza.
Se poi, proprio alla fine del percorso, medicalizzato o no, questo figlio non arriva, dove va a finire quell’amore che è stato per lungo tempo nutrito e che chiede di essere vissuto e di avere la forma di un cucciolo d’uomo?
Diverse possono essere le strade: il reinvestimento, la trasformazione e l’accudimento. Tra le soluzioni affettive più sane possiamo riconoscere il reinvestimento di quell’amore (predisposto per il figlio non arrivato) verso sé stessi, il partner e/o verso le dimensioni più creative e generative dell’esistenza. È un modo per rendere fecondo quell’amore ricanalizzandolo verso obiettivi e persone concreti, su un piano di realtà.
Talvolta però non si ha la forza di compiere un simile passo; è più facile trasformare quell’amore frustrato in giudizio per gli altri, in rabbia e tristezza, in invidia, fino all’aggressività e alla depressione, al ritiro sociale e alla chiusura relazionale.
In alcuni casi, se il sentimento di lutto frustrato per la genitorialità mancata è un nucleo focale di dolore, la culla inesauribile di un bisogno profondo che non ammette di essere taciuto e archiviato, può essere funzionale mantenere dentro se stessi uno spazio in cui incistare, avvolgere e proteggere questo desiderio. Non chiudendolo rigidamente in uno spazio che lo difenda dal giudizio e dagli attacchi esterni, non nutrendolo di indispensabilità, ma riconoscendone comunque l’esistenza e il fatto che fa parte di noi.
La maternità infatti non è solo quella vissuta dopo la nascita del figlio, ma è spesso maternalità, senso materno e generatività. Se anche solo dentro di noi, a livello immaginativo e cognitivo, siamo capaci di concepire un amore così grande, possiamo vivificarlo anziché lasciarlo inaridire, come ricordo di un desiderio, proteggendolo come ciò che resta di una fase fondamentale della vita ed accudendolo come un bisogno che non troverà facilmente soddisfacimento, ma che ci rimanderà alla parte buona di noi, al dono che ci abita e che è sempre pronto a trovare la sua strada. In questo senso, accudire il bisogno e la maternalità con cui ci si identifica è come accudire una parte di noi, la parte generativa, darle riconoscimento, valore e portarle rispetto.